Inconfondibile voce e frontman dei Marta sui Tubi, nei primi anni duemila è apparso sui palchi con i suoi baffi. Sin dall’anagramma del nome, quel duo non lasciava spazio a nessun dubbio: era pronto a provocare tutti. Oggi lo ritroviamo nel suo nuovo percorso da solista. Sempre con gli immancabili baffi ma con il cuore riempito dall’amore per sua figlia. Giovanni Gulino, durante una pausa dalla band fondata con il chitarrista Carmelo Pipitone che ha cavalcato l’onda dell’indie italiano degli anni 0, riparte con un “Urlo Gigante”. Il suo disco d’esordio è uscito a marzo in contemporanea con il blocco totale da Coronavirus. Ora è pronto per ripartire e aprire al pubblico il suo “cassetto pieno di spunti e di idee”. Il 21 maggio ha voluto raccontare la sua esperienza e il suo nuovo inizio durante l’ultima puntata del salotto virtuale di #seiacasa del Sei-Sud Est Indipendente, festival firmato da Coolclub.
Oltre ad essere il frontman dei Marta sui Tubi, sei anche il fondatore di Musicraiser, la piattaforma italiana di crowdfunding musicale nata nel 2012 con alla base una concezione nuova della discografia. Possiamo quindi dire che sei abbastanza esperto riguardo alle idee pensate a sostegno degli artisti e alla sostenibilità dei concerti. Ragionando, quindi, sul futuro della musica dopo questa pandemia, quale sarebbe per te una soluzione da attuare per poter suonare in sicurezza?
In questo momento, inedito per tutti quanti, siamo chiamati ad affrontare un momento drammatico, sia dal punto di vista sanitario sia dal punto di vista economico e quindi occorrono idee. La cosa più semplice sarebbe fare dei tamponi per capire chi abbia o meno il coronavirus, in modo da permettere a chi è negativo di fare i concerti. In mancanza di questo controllo, le misure che ha preso il governo sono molto prudenti e probabilmente anche un po’ irrealistiche perché anche nella vita di tutti i giorni la gente, con l’allontanarsi dell’emergenza, sarà in qualche modo stimolata ad osservare sempre meno quelle che sono le distanze sociali e mascherina.
Di band emergenti o comunque di nicchia ce ne sono tante. Credi che riusciranno a sopravvivere? Se sì, in che modo?
Bisogna lavorare con la fantasia cercando soluzioni particolari, tipo gli house concert, ma stiamo parlando, appunto, di soluzioni per artisti non famosissimi, non per quelli più grandi. Un’altra soluzione potrebbe essere quella appunto di fare dei format Unplugged, chitarra e voce o con pochissimi musicisti, cercare quindi di ridurre all’osso quelli che sono i musicisti sul palco che comportano anche dei costi in più. Io per esempio sto riarrangiando tutto il mio album nuovo per un format chitarra e voce, per essere pronto ad affrontare il palco in una situazione essenziale al massimo. Dobbiamo stare con i piedi per terra, perché anche la gente, dopo questo stress da coronavirus, avrà sì voglia di uscire ma c’è anche un punto interrogativo grosso che bisogna porsi, ossia “quanto la gente sarà motivata ad andare ad un concerto e quanta disponibilità economica avrà per potersi concedere un momento di distrazione come un concerto?”
Dopo 15 anni di carriera con i Marta sui tubi hai deciso di intraprendere questo tuo percorso da solista. Com’è stato fare questo passo? Quanto di loro hai portato con te e quanto di nuovo troviamo in questa nuova forma musicale di Gulino?
C’è molto dei Marta nel mio disco perché ho suonato con loro per 15 anni ed è ovvio che porto con me tutte le influenze che mi hanno lasciato. Lo stile rimane quello. Ma io non volevo fare un album dei Marta sui tubi senza i Marta sui tubi, e quindi ho cercato di fare qualcosa di nuovo e diverso, esplorando per me dei territori inediti e devo dire che sono molto soddisfatto di come suona il disco. Quattro anni fa è uscito l’ultimo album dei Marta, Lo stile ostile, dopodiché ci siamo detti “va beh prendiamoci del tempo per riorganizzarci un attimo le idee e ritrovarci più carichi di prima”. Ma nel frattempo ho continuato a scrivere perché è una cosa di cui non posso fare a meno. Quindi mi sono trovato con un cassetto pieno di spunti, di idee e visto che non era ancora il tempo per una reunion con i Marta mi son detto “non voglio aspettare nessuno, voglio far uscire queste canzoni prima che invecchino dentro al cassetto” e così ho fatto.
La creazione di un disco richiede sempre un lavoro pensato con un team. Chi ti ha accompagnato durante il percorso creativo di Urlo Gigante?
Ho trovato due alleati importantissimi: Fabio Gargiulo, produttore italiano di tantissimi artisti, un uomo straordinario, che mi ha spinto a concretizzare queste idee e a pubblicarle. Poi ho conosciuto Andrea Manzoni che è uno grande pianista con il quale ho rifinito tutti i pezzi ed ha contribuito anche alla scrittura di alcune canzoni. Il materiale poi è passato nelle mani di Marco Gallorini di Woodworm che mi ha proposto di uscire con la sua etichetta ed ero molto felice perché finalmente, dopo quattro anni, sarei tornato a suonare e calcare i palchi, ma con questo meteorite chiamato Covid tutto è saltato in aria. Io però non demordo e dal 15 di Giugno sarò pronto ad affrontare i palchi anche solo chitarra e voce.
Partiamo con la conoscenza di questo nuovo percorso dalla porta del tuo album che ha un nome sinestetico: Urlo Gigante. Come nasce questo titolo?
È nato prima il nome dell’album e poi le canzoni, se devo dirla tutta. Perché quando nacque mia figlia, che si chiama Greta Gulino, mi sono divertito ad anagrammare il nome e il cognome… diciamo che è un po’ un vezzo che ho, l’ho fatto anche con i Marta Sui Tubi che è il risultato di un anagramma che non vi rivelerò – ride -. In questo caso il nome e cognome di mia figlia anagrammati faceva Urlo Gigante ed è un nome bellissimo per un album.
Nell’album è presente Bambi, un brano scritto per tua figlia. Quanto questo rapporto padre-figlia ha influenzato nel tuo processo creativo?
Bambi è stata una delle prime canzoni scritte per questo album e tratta proprio il rapporto padre-figlia. Era un tema che non avevo mai tratto prima… quindi se non ci fosse stata lei questa canzone, come tante altre, non avrebbe avuto vita. Molti dei brani del disco sono infatti ispirate e dedicate a lei. Sono diventato papà all’età di 43 anni, un’età in cui non si è giovanissimi per diventare genitore, e questa cosa mi ha sbattuto in faccia un’amore, una bellezza, una voglia di vivere, una dopamina incredibile. Quindi la mia fonte di ispirazione è stata sostanzialmente vedere mia figlia giocare al gioco della vita.
Nel video di Un grammo di cielo compare l’immagine di un arco teso, palese riferimento a Marina Abramovic e Ulay. Che cosa rappresenta per te questo concetto figurativo?
Quella è un’idea del regista e a me è piaciuta subito tantissimo. Penso che sia molto evocativa e in qualche modo racchiude e sintetizza un rapporto che ci può essere tra due persone che si amano. Un rapporto che può essere teso, può essere forte come una freccia che parte, un proiettile che si spara, qualcosa che va oltre la nostra immaginazione… una meccanica che si può sviluppare tra due corpi. Ecco, credo ci siano tanti aspetti interessanti in quell’immagine.
Intervista a cura di Pierpaolo Lala e Cristiana Francioso