Miserere, Ore volubili, La solitudine al Capotorti Music Festival di Molfetta


Domenica 23 luglio
(ore 20:30 – ingresso gratuito – info e prenotazioni info.capotortimusicfestival@gmail.com) nell’Auditorium Madonna della Rosa di Molfetta, la prima edizione del Capotorti Music Festival si conclude con la presentazione ufficiale, nel giorno dell’uscita, di “Miserere, Ore volubili, La solitudine”. Prodotto dall’etichetta salentina Dodicilune, nella collana Confini, in collaborazione con l’Associazione Luigi Capotorti e la Fondazione Pugliesi per la Musica, e distribuito in Italia e all’estero da Ird e nei migliori store online da Believe, il cd è il frutto della ricerca condotta da Nicola Petruzzella sulle opere di Luigi Capotorti (1767 – 1842), violinista e compositore molfettese esponente della scuola napoletana. Affiancato dai soprani Barbara Massaro e Anna Cimmarrusti e dal pianista Vito della Valle di Pompei, dopo circa duecento anni di oblio, il tenore e direttore artistico del Festival ripropone il Miserere (“Da te mio Dio”, “Sol contra te peccai”, “Ti fui caro allora”, “Non rivolgere il guardo”, “No, no scacciarmi”, “Farò palesi a cuori iniqui”, “Se i sacrifizi”, “Volgi a Sion lo sguardo” e “Allora si che gradirai”) e le due arie da camera Ore volubili e La solitudine con liriche di Giuseppe Saverio Poli (1746 – 1825). Fisico e naturalista al tempo di Ferdinando I di Borbone, lo scienziato e accademico molfettese non disdegnò negli ultimi due decenni della sua vita di accostarsi alla poesia.

«La musica di Luigi Giuseppe Capotorti abbraccia i generi più in voga tra la seconda metà del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Particolare rilevanza nell’opera del compositore molfettese ricopre la musica da camera», sottolinea Nicola Petruzzella. «Formatosi in ambiente napoletano, centro musicalissimo dell’epoca, Capotorti poté certamente misurarsi con compositori del calibro di Vincenzo Bellini, Gioachino Rossini e Gaetano Donizetti e con poeti e librettisti come Tottola e Schmidt. Tra Capotorti e Poli nacque, a Napoli, un grande intesa». L’attività compositiva riguardò essenzialmente il teatro d’opera, pur producendo molta musica sacra di notevole valore, «anche in virtù dei suoi impegni di maestro di cappella in importanti chiese e conventi napoletani», racconta Nicola Scardicchio nelle note di copertina. «Nel genere serio come in quello giocoso il successo arrise spesso alle opere del Capotorti per la fecondità dell’invenzione melodica e soprattutto per la felice scrittura vocale, essendo stato infatti eccellente maestro di canto. La vocazione teatrale si evince anche dall’analisi delle sue opere sacre. Tradizionalmente, fino alle strettoie controriformistiche ma anche dopo, la scrittura musicale non divergeva troppo radicalmente tra genere sacro e genere profano: fino a tutto il rinascimento i confini tra madrigale e mottetto (e v’erano mottetti profani, così come madrigali spirituali) non erano poi troppo delineati e definiti», prosegue. «Luigi Capotorti, come già si osservò ascoltando la Messa ottimamente restituita da Nicola Petruzzella, nelle sue composizioni sacre vivifica le sue opere con una scrittura in cui emerge la sapienza del musicista solidamente formatosi alla scuola napoletana in cui la severità degli studi di contrappunto si univa alla pratica quotidiana del lavoro musicale di ogni genere in ogni campo vocale e strumentale.  Nel Miserere emerge la personalità del compositore: fin dal primo numero Capotorti fa proprio il pathos dei versi del salmo penitenziale nella notevole traduzione del molfettese Giuseppe Saverio Poli. Evidentemente il musicista ha come modello il pergolesiano Stabat Mater: la scrittura per due voci soliste, con accompagnamento espressamente indicato come pianoforte nel manoscritto, si svolge con le parti vocali che si alternano e si fondono con grande efficacia ed espressività ed anche la scrittura decisamente belcantistica contribuisce all’efficacia dell’esito compositivo. Tutto il Miserere appare evidentemente come una pagina che si inserisce nel panorama della musica sacra del primo ottocento, in cui le radici settecentesche hanno già operato quella chiarificazione della scrittura musicale che è caratteristica dell’incipiente stile classico».