«Il termine traccia denota solitamente un segno, un’orma o una scia; lasciare una traccia di sé è una delle aspirazioni di ogni essere umano. Passare alla storia, raggiungere fama durevole oltre il breve arco dell’esistenza, affidare l’anima alla memoria dei posteri come surrogato dell’immortalità», sottolinea Giorgia Maddamma. «Murakami ha scritto che ognuno lascia la sua impronta nel luogo che sente appartenergli di più. Lo spazio che viviamo si trasforma in relazione al nostro modo di vivere. In maniera più o meno marcata, lasciamo tracce della nostra presenza, attraverso le conseguenze delle abitudini del nostro fare quotidiano. A volte ci dimentichiamo che il nostro stesso corpo è la rappresentazione della nostra storia, porta dentro di sé le tracce del nostro passato, dei vissuti trascorsi. Come una cartina geografica, ci indica dove sono localizzate le esperienze e quali le emozioni ad esse associate. A differenza della “memoria classica” che si attiva per ricordi cognitivi, quella corporea lo fa con veri e propri ricordi fisici, attraverso le sensazioni e le reazioni fisiologiche», prosegue la direttrice artistica del progetto. «Ecco perchè il nostro linguaggio, quello del movimento esprime la purezza del nostro essere. Attraverso il nostro linguaggio artstico racconteremo storie di ognuno dei partecipanti, trasformandole in tracce musicali e di movimento, e con il supporto dell’arte della scultura punteremo a “visualizzare” la nostra storia e renderla eterna. L’interesse e la priorità educativa, cioè il vero tema che si voluto trattare, è il raggiungimento dell’universo interiore dei detenuti, universo tutto da scoprire e da far affiorare, al fine di condurli a descrivere il proprio mondo in maniera personale e rendere la loro visione una visione universale e teatrale».
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