Da oltre trent’anni i Marlene Kuntz sono una band di culto della scena rock alternativa italiana. Cristiano Godano, cantante e autore di tutti i testi della band piemontese, una laurea in Economia e commercio e una passione per la musica di Sonic Youth e la scrittura di Vladimir Nabokov. Nel 2019, per La Nave di Teseo, ha pubblicato “Nuotando nell’aria“. Ripercorrendo canzone per canzone i primi tre dischi della band – Catartica, Il Vile e Ho ucciso paranoia – e illustrandone i retroscena del processo creativo, nel volume Godano scrive un’involontaria e generosa autobiografia delle origini, densa di aneddoti, riflessioni e materiale inedito. Il cantante e autore, sabato 2 maggio, è stato tra gli ospiti della sesta puntata del format #Seiacasa (qui la puntata). Il Festival pugliese ideato, prodotto e promosso da Coolclub – con la direzione artistica di Cesare Liaci – non si è fermato per l’emergenza Coronavirus proponendo, in queste settimane, una nuova formula sul web.
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Recentemente hai scritto che «è bello che l’arte possa aiutare a superare momenti bui. Ed è un privilegio sapere che ci possano essere persone che desiderano proprio questo». Sei stato tra i protagonisti di un Concertone del 1 maggio diverso. Come stai vivendo questa quarantena dal punto di vista personale e dal punto di vista artistico?
Dal punto di vista personale ho attraversato tutti gli stati d’animo che stanno attraversando tutti: la prima fase di smarrimento, di remissività totale a qualsiasi input esterno, come il consiglio – obbligo di restare a casa che permane tuttora e credo sia necessario assecondare qualsiasi richiesta di questo tipo per non ridivulgare il virus. Poi dopo lo spaesamento c’è una fase inevitabile di accettazione e di una consuetudine che permane in tutti: ci si alza e si rimane a casa, si esce solo per la spesa e tutto si ripete da due mesi. Artisticamente non è una condizione particolarmente prolifica.
I Marlene Kuntz hanno compiuto 30 anni. Il disco d’esordio Catartica già 26. L’anno scorso hai pubblicato “Nuotando nell’aria”, uscito per La nave di Teseo. Non è un’autobiografia, non è un romanzo, non è un libro di racconti. Ripercorri canzone per canzone i primi tre dischi – Catartica, Il Vile e Ho ucciso paranoia. Raccontaci come nasce l’idea del libro.
Al di là dell’occasione in cui mi ha fatto imbattere Elisabetta Sgarbi della Nave di Teseo, la casa editrice del libro, è un’idea che ho sempre avuto in testa: dare alle canzoni un’estensione in prosa. Tempo fa era un’idea più di natura letteraria cioè prendere alcune canzoni che avevano caratteristiche potenzialmente narrativa e farle diventare dei racconti, poi nel libro ho abbandonato l’idea artistico-narrativa ed ho intrapreso un percorso più di natura saggistica, in cui racconto momenti che presiedono la creazione dei pezzi. Però è anche vero che non è esattamente un saggio perché in primis, qua e là, ho cercato di inseguire la prosa artistica e poi perché gli argomenti di cui parlo sono spesso impregnati di aspetti artistici poiché si parla di ispirazione, ogni tanto ci sono aneddoti in cui il racconto assume una valenza autobiografica ma mediamente è impregnato di una natura prettamente artistica.
Non è solo una guida all’ascolto dei dischi, con aneddoti, retroscena, riflessioni, anche materiali autografi ma è anche un modo per entrare in profondità nel vostro mondo musicale e nel tuo mondo letterario. Una specie di biblioteca e discoteca. Impossibile non citare Nick Cave e i Sonic Youth e Lolita di Nabokov. Quanto hanno influenzato i vostri esordi?
Sonic Youth e Nick Cave in realtà erano un pallino mio. Quando io ho conosciuto Riccardo e Luca e sono nati i Marlene Kuntz, non sapevano nemmeno chi fossero Sonic Youth e Nick Cave, e in realtà io non ho voluto prevaricare con i miei gusti musicali. C’erano dei gruppi di mezzo che erano il crocevia di tutti i nostri gusti che furono in quel periodo i nostri principali modelli di ispirazione. Penso ad esempio ai Soundgarden, che facevano parte di quella scena grunge che ci influenzò. Non ci hanno mai influenzato i Pearl Jam, così come non ci hanno quasi mai influenzato i Nirvana, forse un po’ gli Alice in Chains, quindi da questo si dovrebbe capire che era più una sostanza quasi hard rock. Poi però c’ero io a disturbare con il mio modo sporco di suonare che era figlio di un noise di New York, dei Sonic Youth. Quindi veniva fuori un ibrido, laddove Riccardo era un tecnico e da sempre grande fan dei Metallica, veniva fuori un incrocio che rifiniva la nostra identità, e laddove dove poco per volta ci siamo avvicinati ad un’idea molto melodica come nei brani “Lieve”, “ineluttabile”, fu per le mie precipue influenze. Penso anche a Neil Young e credo che senza questo background che era il mio non sarebbero usciti tanti dei nostri brani. Per quanto riguarda Nabokov non ha influenzato più di tanto il mio modo di scrivere, perché parliamo di due ambiti radicalmente diversi, intanto è letteratura ed è tecnicamente un linguaggio diverso, più disteso, e poi l’immaginario di Nabokov è molto autoreferenziale e cervellotico ed è difficile prendere quegli ingredienti e creare una canzone. Più che altro sono stato influenzato dalla sua fortissima personalità extra letteraria.
Nel libro racconti le vostre grandi difficoltà dei primi anni. Tanti concerti, qualche demo, ma tra le prime esibizioni e il primo disco passarono più di cinque anni. Che tipo di approccio avevate alla musica in generale e alla vostra musica in particolare? Se avessi fallito nel tuo percorso musicale, chi sarebbe oggi Cristiano Godano?
Io mi sono laureato con poca passione in Economia e Commercio e forse sarei diventato un bancario frustrato o un commercialista inetto (ride ndr). Ma, per diventare commercialista, all’epoca c’era un esame molto difficile che non avrei mai dato quindi in realtà no, commercialista no, sarei stato un impiegato di banca o uno che avrebbe puntato a diventare un dipendente in qualche azienda nell’ambito del marketing o del management ma con pochissimi numeri. Menomale che sono riuscito a fare il musicista. L’ approccio che avevamo era puramente artistico, era molto idealizzato. Durante la nostra carriera abbiamo imparato e conosciuto molto i meccanismi e la malizia della musica, soprattutto utilizzata dai nostri colleghi. Noi siamo sempre stati puri e idealisti e questa cosa a volte non ci ha permesso di essere più “per tanti” e lo dico nel modo più neutro possibile, ma c’è un po di rammarico in tutto ciò. I Marlene continuano, dopo 25 anni di carriera, ad aver un’attitudine pura, molto onesta dal vista intellettuale e non riusciamo a fare una cosa in cui non crediamo. Una volta che esce nostro disco, quel lavoro rispecchia ciò che noi abbiamo desiderato fortemente, senza riuscire a pensare che questa cosa potesse essere gestita meglio come produzione artistica per arrivare a più persone. Abbiamo provato nel corso degli anni a crescere con queste consapevolezze. È chiaro che quando abbiamo ad esempio prodotto il nostro disco “Nella tua luce”, lo abbiamo potuto fare perché avevamo vent’anni di esperienza alle spalle e se lo avessimo fatto prima non avremmo raggiunto quel tipo di obiettivi perché eravamo meno consapevoli.
Nel libro in alcuni casi sfati, diciamo così, alcune credenze o alcune sicurezze dei fan e degli ascoltatori rispetto ad alcuni celebri brani. E sottolinei anche il rapporto difficile con un pezzo come Sonica. Arrivi anche a contare le esecuzioni tra prove e concerti. Che sensazione provi a 20/25 anni di distanza nel riproporre testi e brani forse lontani dalla tua attuale sensibilità da cinquantenne.
Io cerco di sondare la psicologia di un artista – tipo i Radiohead che si sono rifiutati per un tempo di eseguire Creep – e cerco di spiegare alla gente quello che può entrare nella testa di un musicista. È chiaro che Sonica è nel cuore di molti e non posso che avere una grande gratitudine nei riguardi di questo pezzo perché è un pezzo che i nostri ammiratori ci richiedono a distanza di 25anni. È evidente che non voglio, e non mi piacerà mai accettare, che i Marlene siano Sonica o che coincidano con Nuotando nell’aria. Abbiamo fatto 100 e passa canzoni di cui siamo orgogliosi. Nel libro parlo di Bernstein perché mentre stavo scrivendo il capitolo mi ero imbattuto in un documentario di un’intervista ai figli che raccontavano come il padre fosse incazzato perché la gente lo ricordava per le solite opere maggiori quando lui – vaffanculo – ne aveva fatte tante altre. Poi i motivi per cui questa cosa accade sono tanti, ci sta come analisi anche che gli artisti non siamo stati capaci di avere la stessa forza comunicativa, come noi in Sonica. Questa è una visione indulgente che cerca anche di capire le motivazioni esterne a noi. Personalmente io non potrò mai accettare che i veri Marlene siano quelli dei primi tre dischi, lo rifiuterò sempre con particolare sdegno perché non è vero, è una stronzata vera e propria. Non è che Cristiano Godano di 20 anni fa che era diverso, più irruente, privo di un certo numero di consapevolezze, possa rimanere lo stesso nel tempo. Farei notare alla gente che qualsiasi percorso umano, a meno che non si sia al cospetto di un idiota, è fatto di una crescita, di un’acquisizione di consapevolezze, di esperienze. Uno a vent’anni ha una visione manichea nei confronti della vita, poi crescendo, se non sei scemo, ti accorgi della complessità del mondo, lo interpreti e tutto ciò crea acquisizioni e rende il tuo cervello meno irruente e portato alla riflessione. È molto stupido immaginare che una persona debba rimanere uguale a se stessa nel corso di 25 anni, anzi rinforzo il concetto dicendo che un artista che fa le stesse cose dopo 20 anni è molto più condannabile perché evidentemente fa quello che si aspetta la gente ma non mi dà la sensazione di un’espressione genuina della propria identità artistica, mi dà la sensazione di un’opportunismo di qualche tipo, della serie “ho capito cosa devo fare per rabbonire il mio pubblico” e continua a fare sempre più o meno la stessa cosa.
Nei prossimi mesi dovrebbe uscire il tuo album da solista. Ci puoi dare un po’ di anticipazioni? Titolo, collaborazioni, che tipo di lavoro sarà? Quali sono invece le prossime tappe del progetto Marlene Kuntz?
Ti regalerei uno scoop importante se ti dicessi il titolo che non ho detto ancora quasi a nessuno (ride ndr). Stiamo ancora navigando a vista perché sono tempi difficili da interpretare. È tutto sospeso in una dimensione di estraniamento. Non si ha la sensazione che fare uscire un disco in questo momento sia la mossa opportuna, però per altri versi, poiché non esce nessuno da casa, c’è comunque bisogno di nuova musica. È molto difficile prendere una decisione che non si riveli uno sbaglio atroce, perché comunque il disco ha bisogno di tutto il supporto promozionale possibile e di tutta la possibile ricettività da parte della gente, altrimenti rischi di buttare un anno e passa di lavoro perché hai sfruttato male i tempi a disposizione.
Cristiana Francioso