Non la solita guida ai luoghi e ai sapori di Puglia ma una mappatura degli ultimi, un bestiario fatto di animali veri e fantastici, un albo illustrato per adulti: martedì 19 dicembre alle 19 (ingresso libero) le Officine Culturali Ergot di Lecce ospitano la presentazione ufficiale di Questo è tutto di qui – Bestiario salentino dello scrittore leccese Osvaldo Piliego. Nel libro, pubblicato da Edizioni Ergot, i testi sono affiancati dalle illustrazioni di 31 artiste e artisti pugliesi con il coordinamento artistico di Brizzo, le introduzioni di Mauro Marino e Alessio Fasano e il cover design di Erik Chilly. Le parole dell’autore e i disegni di Chiara Rescio, Egidio Marullo, Chekos, Andy Trema, Paola Rollo, Alberto Giammaruco, Mauro Curlante, Samuel Mello, Francesco Cuna, Frank Lucignolo, Valeria Puzzovio, Boris Colorblind, Nessuno Niemand, Efrem Barrotta, Carmelo Garofalo, Brizzo, Sasori Komomo, Emilia Ruggiero, Alessandro Romita, Chiara Spinelli, Fergs, Elisa Costa, Laurenji Bloom, Andrea Merenda, Betti Greco, Giancarlo Nunziato, Massimo Pasca, Luisa Carlà, Gianni Cudazzo, Gabriele Conte, Veronica La Greca danno vita a una galleria di personaggi e luoghi del Salento. Una mostra immaginaria, un quaderno di schizzi e bozze, una fotografia non esaustiva dello stato dell’arte di “qui”. «Il “qui” è la mia ossessione, la mia personale malattia, ed è forse anche la causa del mio essere uno “scrivente” di periferia, fuori moda, lontano dai meccanismi dell’editoria di oggi. Non ci resta che fare artigianato, quello che un tempo chiamavamo autoproduzione», sottolinea l’autore. Dopo l’anteprima al Castello Volante di Corigliano d’Otranto per Bazart e la presentazione ufficiale alle Officine Culturali Ergot di Lecce con Giulia Maria Falzea, Piliego sarà nelle prossime settimane (calendario ancora in via di aggiornamento) da Macarìa a Gallipoli (21 dicembre alle 20), al Lug – Centro Culturale Ex Macello di Corsano per Canti e incanti (26 dicembre alle 20), al Fondo Verri di Lecce per le Mani e l’ascolto (2 gennaio alle 18:30), a Casa dei Kalimeriti di Calimera (4 gennaio alle 19) e al Caffè Greco di Caprarica (9 gennaio alle 19:30). Info redazione@ergot.it – 0832246074.
IL LIBRO
Nei periodi bui sono le parole il luogo del conforto, poco importa dove vanno poi, l’importante è che arrivino. Il lento metterle insieme una accanto all’altra è il costante lavorio che mi distrae da me e mi fa stare bene. In questi anni recenti, tra chiusure forzate e isolamenti spontanei, ho abbozzato una serie di piccoli ritratti, incipit di possibili storie, romanzi mai nati, prove tecniche di racconti. L’ho fatto per condividerle subito con gli altri, quasi a dire, tra un libro e l’altro che fatica a uscire, che comunque non ho smesso, che il vizio di scrivere, come gli altri del resto, ancora non mi è passato. Non l’ho fatto pensando che finissero sulla carta, erano appunti digitali e nulla più. Se non fosse stato per Simone Rollo e Brizzo questo libro non ci sarebbe. Sono stati loro a immaginarlo così com’è: una galleria di personaggi e luoghi di questa terra, uno spazio popolato da tante persone che hanno scelto di regalarmi una porzione del loro tempo e del loro talento. E così quello che non poteva essere un libro è diventato qualcos’altro, una sorta di catalogo di una mostra immaginaria di 31 artisti salentini con le “didascalie” scritte da me, un quaderno di schizzi e bozze, una fotografia non esaustiva dello stato dell’arte di “qui”. Il “Qui” è la mia ossessione, la mia personale malattia, ed è forse anche la causa del mio essere uno “scrivente” di periferia, fuori moda, lontano dai meccanismi dell’editoria di oggi. Non ci resta che fare artigianato, quello che un tempo chiamavamo autoproduzione. Non è la solita guida ai luoghi e ai sapori di Puglia ma una mappatura degli ultimi, un bestiario salentino fatto di animali veri e fantastici, un albo illustrato per adulti.
L’AUTORE
Operatore culturale e scrittore, Osvaldo Piliego si occupa di progettazione e produzione di eventi. Socio fondatore della Cooperativa Coolclub di Lecce, dal 2004 al 2011 ha diretto la rivista Coolclub.it. Nel corso degli anni ha collaborato con varie testate e siti nazionali (Rockerilla, All Music, The Guide). Nel 2010 ha lavorato con Giancarlo Susanna alla realizzazione della biografia di Fred Buscaglione “Nientepopodimenoche Fred” (Arcana). Ha pubblicato i romanzi “Fino alla fine del giorno” nel 2011 e “La città verticale” nel 2015, entrambi per Lupo Editore, la raccolta di poesie “Justalovesong” per Fondo Verri (2016). Negli anni ha pubblicato racconti su varie raccolte (Post, Kunstwollen, Una frisella sul mare, 50 sfumature di fritto, Cucinare con i piedi, Inchiostro di Puglia). Nel 2019 pubblica il suo terzo romanzo “Se tu fossi una brava ragazza” per Manni editori e scrive i testi per lo spettacolo “Io che amo solo te, le voci di Genova” di Serena Spedicato, poi uscito in cd per Dodicilune.
DI QUANTE COSE È UNA CITTÀ Mauro Marino
Nella lateralità sta la vita vera, sul margine. La prova quotidiana, inesorabile, macina le ore. Vale per tutti, per quelli “ammassati in un luogo come la gente nei paesi”, e per quelli “impilati come le persone nelle grandi città” ancora di più vale per chi, le ore, le attraversa in bilico e osa la caduta, fondendo la regalità del proprio pudore con il coraggio. Questa sostanza, questa luce, abita gli uomini e le donne che incontreremo leggendo queste pagine. Di quante cose è un paese, una città, mille e mille accadimenti, di quante individualità soprattutto: il suo respiro è il respiro di tutti, un insieme indistinguibile, tutto si mischia e accade nella sfida dello stare a vivere. Un’energia corale dove, andare a cercare la particolarità, è mettersi in cammino e allenarsi alla sosta per meglio guardare e dare luogo alla traccia degli incontri, per meglio comprendere l’umanità e le singolarità che la abitano. Non esiste lo sciamano, l’incantamento seduttivo dell’artista, l’unica via è l’incontro, sguardo con sguardo così l’innamoramento svezza la scrittura, nella relazione ogni storia evoca fantasticherie, affabula, tesse la trama di vicende altrimenti inenarrabili. Fare sosta, cogliere, su quel bilico che è la vita, chi resiste, chi trova la via nonostante la fatica convocata nell’allerta del cuore, nonostante la routine, le melanconie dell’ordinario, i ripensamenti affollati nei sì e no delle ossessioni, nell’arco sempre teso dei corpi. La felicità pare sia un attimo, trascorre, non fa mai pausa, ci abita per un istante e poi va via. Questa fugacità pare animare il popolo di “Questo è tutto qui”, un popolo capace – come l’Edoardo che incontriamo nelle pagine di Osvaldo Piliego – di “liberarsi in un’altra dimensione”, di muoversi nel presente vissuto come in un altrove denso di umanità, di stupore, capace di interpretare il Tempo presagendo un’intensità sconosciuta ai più, alla pretesa normalità degli “altri”, di una maggioranza priva di affettività, di sincerità, di solidarietà. È amaro ammetterlo, ma è questo il Mondo, quello del nostro vivere e quello passato, difficile presagirne un altro se non nella separazione, nella “latitanza” dal soffoco dalla consuetudine. “La verità ha tante sfumature, a volte basta solo cambiare nome alle cose” leggo. Sì! È questo mimetismo la fascinazione che muove la vita, lo stare al mondo, la libertà di scegliere, anche la caduta, il baratro di esiti distruttivi e autodistruttivi. Della “clandestinità” raccontano queste pagine quella dei comportamenti, quella dei luoghi della separatezza come il Samarcanda in una San Cataldo, “luogo di passaggio per anime (sempre) in transito”, anime capaci di rituali definitivi, di brindare ogni giorno a quello che resta. Nonostante tutto. Un vitalismo assoluto tira l’elastico dell’ordinario, le storie si infilano leste pagina dopo pagina, come folgorazioni, una galleria di vite eroiche, uniche, nel dare al destino l’inatteso della conseguenza, farfalle sempre sulla soglia, pronte, sul punto di fuga.
PUNTI DI VISTA Alessio Fasano
Scrivo questa introduzione sul mio computer. Per poter arrivare al punto di premere i pulsanti sulla tastiera ho premuto un pulsante fisico, immediatamente lo schermo si è illuminato a mostrare la scritta Lenovo bianca su sfondo nero, mi sono ritrovato sul mio desktop, dove le innumerevoli (troppe, sono piuttosto disordinato) icone mi suggerivano i programmi o i file a cui avrei potuto avere un accesso diretto, ho deciso di cliccare sull’icona che mi serviva, la rappresentazione di un foglio rettangolare che sfuma da un blu scuro verso un celeste quasi ceruleo. Ho cliccato e finalmente eccomi qui a scrivere questa apparentemente inconcludente introduzione. Ho premuto su immagini (icone) che mi hanno dato accesso ad altre immagini e anche adesso mentre scrivo altre piccole rappresentazioni danzano nella mia visuale periferica. Siamo subissati di immagini, viviamo in un mondo fatto di figure, icone, copertine di video, immagini del profilo e pubblicità. Niente di nuovo, niente di sorprendente. Sorprendente è invece quanto poco parliamo di immagini, di quello che raccontano, di quello che ci lasciano a livello emotivo e percettivo. Non solo siamo circondati ma contribuiamo a questo infinito flusso visuale con le nostre, di immagini. Non solo i nostri selfie, ma anche le storie instagram di cui possiamo scegliere lo sfondo, il font, dove posizionare le scritte e via dicendo con un editor che nel tempo diviene più complesso man mano che la media delle persone comuni diventa abile ad utilizzarlo. Ma nessuno parla mai di immagini e del fatto che esse abbiano un codice e di come questo influenza la nostra percezione. Il mondo dell’editoria vede il disegno come un corredo del testo e niente di più, qualcosa che serve a rendere più “preziosa” l’edizione, e in questo non c’è niente di male chiariamoci. Tutti noi, non addetti ai lavori delle immagini, non grafici, non storici dell’arte, viviamo un forte straniamento nei confronti dell’immagine, in quanto questa si pone a noi senza filtri e apparentemente non ci richiede alcuna analisi. Quando siamo di fronte a un quadro di Caravaggio vediamo l’immagine e per noi è come se fosse sempre esistita, in qualche modo, nel mondo. Certo molti di noi si lasciano sfuggire fra i denti un “che bravo Caravaggio” perché pensano al fatto (miracoloso) che l’ immagine che hanno davanti un tempo, prima di essere dipinta, semplicemente era una tela bianca. Ecco che l’arte visiva si pone a noi nel peggiore dei casi come un qualcosa di dato (in quanto apparentemente è dato in modo subitaneo ai nostri sensi) e nel migliore come un atto di creazione (quasi divino) più che creativo. È questo tipo di atteggiamento nei confronti dell’immagine che pone poi, molte persone (in modo non colpevole) nella posizione di chiedersi se l’arte non rappresentativa sia davvero arte. Ecco perché operazioni varie come quella che state per leggere sono fondamentali per riportare all’occhio dei lettori l’immagine non come mero accompagnamento dello scritto, ma come operazione sinergica e organica. Per ogni frammento letterario troverete una rappresentazione che riesce a svolgere ogni volta una funzione differente nei confronti del racconto: riassumendolo, ampliandolo o proseguendolo. Quella che vi apprestate ad osservare non è soltanto una catalogazione di immagini ma anche un vero è proprio spaccato sullo stato di salute che l’arte figurativa vive attualmente intorno a noi. Passiamo con agilità attraverso stili e materie dell’arte completamente diverse, dal realistico all’astratto dal collage all’acquerello, dal pennarello al disegno grafico di matrice pubblicitaria. Le ispirazioni sono innumerevoli, dall’espressionismo alla pop art fino alla grafica pubblicitaria di fine secolo passando per la rappresentazione futuristica e il fumetto di matrice italiana (un realismo molto sintetico e impattante). Un’altra occasione che il volume che abbiamo in mano ci fornisce è quella di vedere i soggetti e come si ripetono e reinterpretano nella storia. La donna, ad esempio, è figlia di tantissime visioni e sperimentazioni, dalla donna mistica a quella conturbante alla donna spaventosa ed evocativa. I ritratti e le scene di vita quotidiana, oggi ritornati alla ribalta grazie agli strumenti che ne hanno determinato la fine un secolo e mezzo fa (ovvero la fotografia). Come spesso succede quando una nuova tecnologia invade l’arte immediatamente viene utilizzata quanto più possibile per poi tornare indietro successivamente, quando lo stile o lo strumento sono stati sufficientemente esplorati non solo dal pubblico ma anche e soprattutto dagli artisti. Un esempio quotidiano lo vediamo nella differenza di design delle insegne dei negozi fra gli anni novanta e oggi. Trent’anni fa si preferiva una grafica bombata, in 3D, che uscisse fuori dall’insegna e dimostrasse flessioni e contorsioni varie. I programmi di grafica avevano da poco perfezionato questa opzione potenziandola e mettendola nelle mani di ogni grafico di provincia che non poteva esimersi dall’usare l’ultima arma apparsa nel suo arsenale. Oggi invece preferiamo scritte minimali e loghi semplici e piatti, che dovranno abbinarsi alla nostra pagina web e dovranno essere riconoscibili nelle piccole icone dei cellulari. Non ci interessa più utilizzare le tre dimensioni nel design di uso quotidiano, e non solo perché “non sono più di moda” ma perché i grafici lo hanno esplorato e utilizzato mentre i programmi, migliorandolo sempre di più e rendendolo sempre più semplice da rendere, così semplicemente, per qualche pionieristica ragione, hanno perso di senso. Questo fenomeno succede spesso e fa parte del processo creativo, una corrente, una direzione in cui la generazione d’artisti si muove. Oggi questo tipo di tendenza esiste ancora, ma il numero di artisti con una certa padronanza della tecnica è divenuto così alto e le tecniche da loro individuate sono così tante che non è facile seguire l’onda che guida questa generazione di artisti, e forse è proprio questo il fenomeno interessante, centinaia di visioni del mondo alimentate da migliaia di immaginari e punti di vista differenti. Una raccomandazione, infine, ai lettori che sono riusciti ad arrivare indenni alla fine di questa prefazione: spesso guardiamo le immagini in grande velocità senza fermarci un attimo dicendo semplicemente che sono belle o meno, credendo di averle assorbite, il consiglio potrebbe sembrare banale ed è il seguente: contate fino a venti, fino a trenta e intanto guardare l’immagine senza lasciarsi distrarre dal mondo rumoroso e pressantemente circostante. Vi accorgerete che si tratta di tutta un’altra esperienza e che le immagini man mano che le si guarda si lasciano percepire in modo differente, svelandoci la loro magia.
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